Difetti genetici che potrebbero aumentare il rischio di infezione da SARS-CoV 2

25/01/2021

COVID‐19. Infezione da SARS-CoV 2 nei pazienti con immunodeficienza congenita

(Ultimo aggiornamento: 26/01/2021)

Pur trattandosi di malattie rare, con il diffondersi della pandemia da SARSCoV 2 ancora in corso, è possibile che un numero crescente di pazienti affetti  da immunodeficienza primitiva (IP) sviluppi la COVID-19, il nome attibuito al quadro clinico associato con il nuovo coronavirusessendo nota la loro  predisposizione alle infezioni virali e batteriche. Comunque, il numero di casi di COVID-19 in soggetti con errori congeniti dell’immunità  è esiguo, probabilmente perché i pazienti con IP sono  in gran parte bambini o giovani adulti, meno vulnerabili all’infezione da SARS-CoV 2, che già adottano normalmente quelle misure igieniche di protezione individuale che alla popolazione generale sono consigliate sono in tempo di pandemia. Anche se i soggetti con  IP congenite sono considerati a priori come una popolazione a rischio di sviluppare infezioni gravi batteriche e virali, coronavirus compresi, uno studio retrospettivo internazionale, anche se condotto su uno numero relativamente esiguo di pazienti, sembra smentire questa opinione corrente. È possibile che le differenze osservate nella gravitò del decorso della COVID-19 siano spiegabili, almeno in parte, con difetti genetici della risposta imunitaria, ancora in gran parte da identificare. Un consorzio internazionale creato ad hoc, consentirà probabilmente le varianti geniche alla base dell’eterogeneità clinica della COVID-19. Alcuni di questi geni putativi sono stati già identificati. Lo studio delle IP consentirà anche di comprendere molti aspetti della rispsota immunitaria constro il SARS-CoV 2 che ancora appaiono inspiegabili o paradossali. Per esempio, il decorso in genere più mite della COVID-19 nei pazienti con agammaglobulinemia,  suggerisce che gli anticorpi anti-SARS-COV 2 potrebbero non avere molta importanza per la protezione dall’infezione e dalla reinfezione, anzi, se prodotti in eccesso potrebbero innescare una reazione eccessiva con forme più gravi della malattia. Se queste osservazioni preliminari fossero confermate, si potrebbe pensare che i vaccini attualmente proposti siano relativamente poco efficaci. Al contrario l’immunità innata, soprattutto gli interferoni, sembra svolgere un ruolo predominante, forse ancora maggiore dei linfociti T, che  pure sono necessari per un’adeguata risposta immunitaria nelle prime fasi dell’infezione. A sostegno di questa affermazione ci sarebbero i risultati dei pochi  studi finora pubblicati, nei quali molti dei casi più gravi sono stati osservati in pazienti con deficit delle vie di segnalazione cui partecipano gli interferoni, potenti molecole naturali antivirali. Le raccomandazioni per i pazienti con immunodeficienze seguono le linee guida nazionali per la popolazione generale e includono rigorose misure igieniche e di distanziamento  fisico  per limitare l'esposizione con potenziali contagiati. Il consenso generale è che i pazienti con IP debbano continuare le terapie consolidate e la terapia immunosoppressiva per le complicanze autoimmuni anche durante la pandemia.

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